La Vita: un enigma a molteplici incognite
In questa edizione del World Humor Awards l’argomento proposto ai vignettisti è un po’ come quando a scuola ci davano il “tema libero”: si poteva scrivere di tutto, tanto più che il senso della vita è in realtà un uroburo, un serpente che si morde la code, una forma chiusa che non ha né un inizio né una fine. Ed è così per la vita e per come considerarla, per cui, non a caso, la scultura di Auguste Rodin “il pensatore” diventa emblema estetico e visivo, in più di un cartoon, di questa condizione di enigmatica incertezza. Sono nate proprio per questa indeterminatezza della proposta immagini molto diverse e contrastanti tra loro, prodotte dagli umori delle penne degli autori, dalla loro visione del mondo. I nichilisti vedono un foglio completamente bianco oppure una tela astratta con pennellate casuali alla Pollock o un disegno tecnico senza capo né coda. Ciascuno improvvisa un significato che, al momento, gli sembra si adatti al suo stato d’animo, ma è una soluzione liquida e mutevole con il trascorrere delle ore: inafferrabile se non con una tautologia che però appunto perché tale non fa che ribadire l’impossibilità di una risposta.
Alcune vignette rimandano ad un difficile equilibrio tra tensioni diverse o alla risposta più immediata che è crescere ed invecchiare, con la loro differente percezione del tempo in un inseguirsi e scontarsi in direzioni opposte, con obiettivi contrastanti.
Inevitabilmente la morte incappucciata e con la falce in molte vignette la fa da padrona e ostenta scheletri e teschi, persino dal momento del parto, con un orrore da luna park: talora sostituita dall’immagine della culla e della bara – persino mischiate insieme -, o cinicamente dal passeggino alla sedia a rotelle, fino al carro funebre che riassume in una unica immagine le tappe di un’esistenza. Difficile seguire cartelli indicatori che mandano in senso opposto i nostri passi, persino il gallo segnavento si sente smarrito e le direzioni sono contrastanti e senza segnalazioni tipografiche.
E compare Dio per lo più solo arbitro di un ipotetico match, giocoliere con vite d’infanti, occhio di un Grande Fratello o giocatore di una casuale partita, solitario e come sperduto con il diavolo, in allegorie che dicono come il sacro sia oggi una risposta troppo flebile per soddisfare ed esaurire le esigenze dell’individuo, confuso dalla molteplicità dei messaggi religiosi o dalla falsità di divinità inventate, di noi come persone, che siamo cielo e inferno insieme. Così la solitudine del papa è ancora più angosciante nell’antico splendore Vaticano contrapposto con l’urbanizzazione impazzita e affastellata attuale. Senza tener conto del contrasto tra il soffio divino e il saper scientifico, che si concretizza nell’intreccio elicoidale del DNA presente in diversi autori. Inevitabilmente in altri cartoon c’è una frenesia di spermatozoi che mimano la loro battaglia per dare una prima forma di esistenza, che si giocano la sopravvivenza, ancora una volta demandando altrove la giustificazione del vivere.
L’amore fisico è protagonista in altri e ci accomuna con le specie viventi. L’eterna alterità dell’uovo e della gallina ridurrebbe i termini della questione e la porrebbe sul podio del vincitore. La famiglia diventa pure il luogo e la dimensione del vivere, ma non è sempre la soluzione più positiva con tensioni, conflitti interni ed attacchi di chi ipocritamente dice di difenderla. Ma anche il cervello e le sue proiezioni diventano un protagonista ed insieme una possibile soluzione dell’enigma. Ma spesso la ragione è astratta, solipsistica, un sentiero tortuoso e persino prodotto meccanico e talora nasce il contrasto con il cuore, con i sentimenti. Mistero inestricabile come un labirinto, come un sentiero tortuoso in continua salita. Persino un’allegra giostra può bastare per dare il senso del viaggio che vede non solo la strada, ma anche il ponte sul vuoto, la corsa corale verso un ipotetico arrivo, mentre potrebbe essere solo un girare in tondo per far smuovere una macina arcaica oppure un cerchio da criceti con ruoli che gravano in modo diverso tra le generazioni. E c’è l’eterno contrasto tra gli ottimisti ed i pessimisti, tra chi trova piacere e consolazione nella natura e chi vede lo squallore prodotto da una civilizzazione esasperata. Inoltre l’antico sospetto, la vetusta idea del destino si insinua raffigurata dalle impronte digitali di ciascuno – non dalle linee della mano – ma da qualcosa di ancor più privato ed intimo, fuori da quassi zingaresco romanzo, e il loro insinuarsi contorte e serpentiformi diventa il labirinto che ci condiziona nella quotidianità dell’esistenza. il vecchio che diventa simbolo del tempo ed insegue il ragazzo, senza poterlo raggiungere.
E la difficile comunicazione tra le generazioni diventa anch’esso un tema. Come il tema della solitudine trova la concretezza visiva nel naufrago nell’isola deserta come sogno di fuga ma per lo più come disperazione di una condizione ineluttabile autodistruttiva.
E tornano, come risposta irriflessiva, vecchi miti, da quello di Sisifo, magari solo per spingere verso la vetta una enorme chiocciola, oppure quella del’Eden con Adamo ed Eva o dell’incrocio di strade per cui la scelta di una direzione muta tutta la vita, che nell’antichità era di Ercole o Achille ed ora si presenta a ciascuno di noi. Ritorna anche l’allegoria dell’albero della vita ma talora ischeletrito.
Emergono fortemente moralistici i temi della nostra eterna condizione di insoddisfazione per il nostro status sociale, la brama e la ricerca della ricchezza, la frenesia dell’accumulo, il timore per un mondo sempre tecnologico, meccanico, che non comunica e che sembra sostituirsi o voler sostituire non tanto l’uomo quanto l’umano. Non c’è una visione sociale, nel senso di un possibile riscatto, di una potenziale ribellione, anche i temi sostanziali dei nostri terrori ci trovano inermi e senza soluzioni: spaventati e impotenti.
Diversi disegnatori dimenticano il tema e si fanno coinvolgere nelle loro paure che diventano dominanti o forse proprio queste sono il senso di una vita comunque immiserita e appiattita. Ci sono le paure che affiorano e che sostituiscono qualsiasi possibile domanda, riducendosi a pura emozione: la guerra prima di tutto, la colomba della Pace spennata o delineata a disegnare il mappamondo, e poi le reali devastazioni, i contrasti tra mondi che godono ed altri che soffrono: ma il dolore è un’ecatombe di distruzione.
Anche la sognata fuga dal pianeta diventano mostruosità che si spandono per l’universo. Non basta la poesia di un Pierrot per ridarci l’incanto della luna. Ci si affida all’amore e alla speranza, forse meno alla solidarietà tra gli uomini, almeno stando alle vignette. Si demanda alla generazione che verrà che innesti la spina di una luce che ritorni ad illuminare. Ma non è solo la guerra, ma alla pari, altrettanto terrificante la morte del pianeta, della natura, la coscienza che un consumismo eccessivo ed inutile ci sta escludendo dalla vita. E si sogna che donne incinte possano partorire un nuovo pianeta, che ci sia un futuro, anche se qualche artista dichiara esplicitamente “No future” o la meditazione nello studio di antichi santi e filosofi viene sostituita dal teschio del “game over”, della fine del gioco. E ci si fa un selfie sulle tombe. Non esiste il libro che spieghi il “senso del vivere” e sfogliarne le pagine non ci illumina né consola.
Ma forse ci possono salvare le lettere, le parole, il seminare pensieri che diventano idee e speranze di rinascita. Allora è meglio un brindisi con rosso e caloroso vino e rilassarci a godere il breve istante che ci aspetta. Se non è festa, sarà almeno il primo momento di quiete.
Parma, maggio 2024
Marzio Dall’Acqua